Il Risorto, che attraversa le chiusure delle porte e dei cuori, augura la pace ai discepoli e li manda a conquistare il mondo non con le armi ma come pecore in mezzo ai lupi, con la potenza inerme dell’evangelizzazione.
Avvicinandosi la solennità della Pasqua ci siamo rivolti ad un nostro prezioso collaboratore padre Sergio Cerracchio parroco della Chiesa del Corpus Domini di Montecatini Terme. Abbiamo con lui approfondito alcuni temi della celebrazione pasquale.
Padre Cerracchio, la Chiesa di papa Francesco come vivrà la Pasqua 2024?
«La pasqua è un memoriale perenne della vittoria di Cristo sulla morte, dunque ha qualcosa di immutabile che non dipende da nessuno. Tuttavia la logica dell’incarnazione fa sì che il momento storico che si attraversa dia una particolare colorazione a ciò che è sempre lo stesso ma anche sempre nuovo. Il Papa ci esorta alla dimensione dell’uscita e l’immagine di Cristo che esce dalla tomba, come il popolo di Israele uscì dall’Egitto, appare improvvisamente come un incoraggiamento. Anche la sinodalità sembra una naturale conseguenza della pasqua, benché non ci avessimo pensato prima, perché vediamo la Chiesa primitiva così attenta a conservare l’unità e la comunione come parte importante di quella missione per la quale “con grande forza testimoniavano la resurrezione del Signore” (At 4,33)».
A suo avviso, il messaggio pasquale in quali azioni di fraternità, di solidarietà e di generosità si concretizza?
«Siamo più abituati ad associare queste virtù alla festa del Natale, ma in effetti la Pasqua porta con sé tanti spunti per una revisione del nostro stile di vita. Il primo vero risultato potrebbe essere una certa relativizzazione dei concetti di potere, di possesso, di guadagno e perfino di patria, nonché di vittoria. Certo, non si può vivere di poesia e bisogna essere realistici, però l’attaccamento eccessivo ai beni terreni, soprattutto se si deve ricorrere alla forza per conquistarli o difenderli, non manifesta affatto che lo Spirito del Risorto sia presente in noi. Di conseguenza dovrebbe diventare strutturale e istintivo il pensiero che i beni sono destinati alla felicità comune, che un’economia non può crescere creando povertà o squilibrio sociale e che la pace può essere più economica della guerra».
Come immagina le celebrazioni della Pasqua nella terra ucraina e in quella di Gaza?
«Su questo non ho dubbi: immagino che dal punto di vista esteriore cercheranno di fare il massimo, pur nella ristrettezza, magari spostando macerie e condividendo le candele perché scarseggiano. Ma dal punto di vista interiore sarà una pasqua sentita, autentica, perché ogni loro passeggiata è una via crucis e sanno bene quanto pesi una pietra sulla tomba.
La speranza della resurrezione, della rinascita, della vita eterna, dell’amore che vinca le tenebre, della pace donata dal Signore sarà sicuramente vivissima in loro».
In virtù della resurrezione, quali atti concreti ritiene necessari da parte dei potenti della terra per raggiungere la pace?
«Intanto diciamo che “i potenti” sono dei cittadini che hanno raggiunto una certa posizione. Quindi se i cittadini avessero compreso il messaggio della resurrezione, diverrebbero dei potenti diversi. È chiaro che la vita nuova, portata da Cristo, non ha ancora scalfito la scorza delle nostre culture.
Dovremmo tutti ricordare che la pace appare come il primo dono di pasqua: il risorto, che attraversa le chiusure delle porte e dei cuori, augura la pace ai discepoli e li manda a conquistare il mondo non con le armi ma come pecore in mezzo ai lupi, con la potenza inerme dell’evangelizzazione».
Quale significato assumono le celebrazioni pasquali per la vostra comunità religiosa montecatinese in questo ultimo anno?
«Spero proprio che in questo passaggio emerga l’universalità della Chiesa e la centralità della Pasqua, al di là dell’affetto, dell’abitudine, della tradizione… non c’è una pasqua giuseppina e una pasqua diocesana. È vero che ci sarà da adattarsi, da cambiare qualcosa, ma la fede, la sequela di Cristo, la vita ecclesiale sono più importanti del semplice dettaglio di avere o non avere i preti che ci piacciono o semplicemente a cui siamo abituati o affezionati. Insomma, anche per questo argomento, non c’è niente di più urgente che riscoprire il mistero pasquale».
Di Carlo Pellegrini