Mi trovavo a Pistoia per sbrigare questioni personali e, in una piazza che non ricordo come si chiamasse, sentii due preti, ovviamente pistoiesi, che ragionavano tra loro e mi giunse, bella chiara e distinta una frase: «È contento come un padre che ha avuto una figliola in vecchiaia!». Parlavano del nostro comune vescovo Fausto – che senz’altro mi perdonerà questa familiarità di espressioni – e dell’unione nella sua persona della diocesi di Pistoia e quella di Pescia, la figlia ricevuta in età avanzata, Chiese già sorelle nella fede ed adesso anche per parte di padre.
Ed infatti colpisce, il vescovo Fausto, perché la contentezza la dimostra davvero, con sincero apprezzamento della nostra realtà umana e spirituale «ammirato della gloriosa storia della Chiesa di Pescia» come ebbe a dire nel discorso inaugurale della sua missione tra noi. Ed è stato garbato nel presentarsi al popolo pesciatino senza mascherare né nascondere l’evidente imbarazzo che questa decisione aveva suscitato in tutti noi, ne ha parlato, sin dal suo ingresso, con semplicità e rispetto. Ma anche noi – almeno questa è la mia impressione – ci siamo impegnati ad accoglierlo bene e a dimostrargli gratitudine per l’impegno assunto e collaborazione pronta e sincera, come ultimamente dimostrato nei tanti trasferimenti di parroci, avvenuti per far fronte a situazioni che imponevano soluzioni non rimandabili oltre, che hanno vista tanta buona volontà da parte dei preti e delle comunità interessate.
Parlando ad un anno, o poco più, dall’inizio dell’esperienza davvero storica di avere il vescovo in comunione con un’altra diocesi non mi è facile esprimere novità o punti di forza di una pastorale che, come programmaticamente aveva detto, si è volutamente inserita nel «solco del cammino già ben tracciato da chi mi ha preceduto» (dall’omelia inaugurale) riferendosi al suo predecessore il vescovo Roberto con il quale ha un vero e sincero legame che abbiamo, da subito, potuto notare con compiacimento e soddisfazione. Non solo nella formalità del rito inaugurale, come era ovvio, ma nel prosieguo dell’anno. Il nostro caro vescovo Roberto ce lo siamo visto partecipare a svariati momenti salienti della vita liturgica diocesana, come nel Natale ultimo scorso, ma anche nelle celebrazioni delle Cresime e in tante altre occasione alle quali, come distintivo della sua ben nota generosità, il vescovo Roberto non si mai sottratto, e ciò conforme al desiderio del vescovo Fausto di mantenere vivi i rapporti che la diocesi aveva stretto col suo pastore.
Questo segno di comunione è stato non solo bello – e pacificante per noi, figli di entrambi i pastori – ma anche una chiara indicazione di cosa, nello Spirito, il nostro vescovo ci chiedeva: andare avanti con le capacità di tutti su un cammino che non si interrompe ma progredisce nelle linee tracciate verso mete sempre nuove, nella comunione e nella pace.
Un Cammino sinodale, cioè, come appunto ci chiede di fare la Chiesa universale, tanto è vero che nuovo e deciso è stato l’impulso dato dal vescovo Fausto al cammino sinodale che era stato iniziato per «imparare ad essere una Chiesa, viva e vivace, animata da una profonda fede nel Signore Gesù, via, verità e vita, cercando di vivere una profonda comunione tra di noi, camminando cioè insieme, per essere nel mondo, in mezzo agli altri, testimoni credibili dell’amore del Signore, pronti a “gioire con chi gioisce e a piangere con chi piange”».
È il segno della speranza, virtù sotto la quale mons. Fausto ha posto il suo episcopato e nel quale si è rivolto al popolo cristiano nella lettera pastorale In spe fortitudo pubblicata per il Giubileo per l’anno 2025. Una speranza operosa che spinge tutti ad «alimentarla in sé stessi e seminarla con la forza dello Spirito nei cuori di ogni uomo e donna che incontriamo».
L’orizzonte che il vescovo Fausto ci propone è quello – troppo ambizioso se fosse solo sforzo umano – di farsi “seminatori” di speranza concreta nella società odierna che tanto ne ha bisogno, dopo aver accolto questo dono divino nei nostri cuori.
È solo con la speranza nel cuore che si può animare la comunità e far germogliare i doni frutti dello Spirito per una Chiesa che si pone a servizio con uomini e donne pronti ad esprimersi nel ministeri riconosciuti dalla Chiesa con la loro istituzione: lettori, accoliti, catechisti perché a nessuno manchi l’aiuto fraterno e la Parola che salva. Una Chiesa tutta ministeriale, tutta a servizio per aprirsi alla società civile e darle animo.
Ma la speranza – dice ancora la lettera pastorale – è coraggiosa ed è capace anche di azzardare cammini intraprendenti negli ambiti in cui maggiore è la sfida, come quelli della catechesi ai bambini e ragazzi per la quale il vescovo chiede che si cominci davvero a proporre cammini sperimentali. Iniziare a camminare comporta l’eventualità di “cadere”, ma questo deve essere messo nel conto delle eventualità, con coraggio e speranza.
Ultima prospettiva che vorrei ricordare, saltando inevitabilmente altri ricchi spunti della Lettera pastorale, è il punto focale verso il quale tenere fisso lo sguardo: il Crocifisso, il dono gratuito, generoso che Gesù fa di sé, così carico della speranza nella risurrezione, che il vescovo propone, secondo le indicazioni per il Giubileo 2025, come icona pastorale e spirituale di questo inizio di cammino di speranza. È nello spendersi senza riserve che si pianta il seme di una umanità rinnovata.
don Alberto Tampellini, Vicario Generale