Santa Messa del Crisma
OMELIA DEL VESCOVO FAUSTO TARDELLI
Cattedrale di Santa Maria Assunta, Pescia
Martedì 15 febbraio 2025
La Messa crismale – carissimi fratelli e sorelle, laici tutti, presbiteri in particolare, diaconi, cresimandi – ci dice una cosa chiarissima: che la chiesa, che ciascuno di noi è chiamato a collaborare all’opera redentiva di Cristo, a collaborare al disegno di amore del Padre che vuol raggiungere tutti per aprire a ogni persona le porte del Paradiso, I’accesso ad una vita piena, piena di amore, liberata da ogni condizionamento di male, totalmente gioiosa, partecipe di una beatitudine totale e infinita.
Gli oli santi che in questa Messa vengono consacrati sono infatti destinati agli uomini e alle donne del nostro tempo e a noi è affidato il compito di recapitarli loro. Guai se li trattenessimo per noi, chiusi in un ripostiglio! Essi sono consacrati per la salvezza del mondo, per raggiungere in particolare gli uomini e le donne che ancora non credono, i bambini appena nati, i ragazzi e i giovani che si aprono alla vita, i sofferenti, i malati e gli anziani che tribolano per il peso degli anni.
Vorrei che questa essenziale dimensione missionaria della Messa crismale non sfuggisse e fosse anzi ben chiara, perché, per abitudine e assuefazione non pensassimo che stiamo celebrando cose che riguardano la nostra casa, i nostri piccoli cerchi, le nostre ristrette conventicole, come se stessimo preparando gli ingredienti per la nostra cucina.
Non è così. La Messa crismale ha il respiro universale del disegno di salvezza di Dio e si protende verso la missione di evangelizzazione del mondo intero, senza sosta e senza alcun ripiegamento in se stessi.
E’ anche un momento speciale per voi presbiteri – questa santa Messa – chiamati come siete a rinnovare le vostre promesse. Ma anche questo rinnovo, collocato proprio nella celebrazione degli oli santi, vi ricorda, cari presbiteri, anzi ci ricorda, che siamo stati uni col sacro Crisma non solo per custodire il gregge del Signore, con il dono della sua parola, la riconciliazione e l’Eucaristia, e fornendo ad esso una guida salda, sicura e amorevole.
Noi siamo chiamati anche a cercare le pecorelle perdute, a cercare chi si è allontanato, a farci incontro a chi ancora non crede, come a tutte le persone che attendono di conoscere il Signore Gesù pur se alcune sembrano non avere alcun interesse nei suoi confronti.
C’è una tentazione che può far presa su di noi e dalla quale vorrei mettervi in guardia, voi presbiteri ma anche tutti gli altri, soprattutto di questi tempi, in cui vediamo molti allontanarsi, sperimentiamo la presenza tra noi di altre culture ed orizzonti religiosi, oppure constatiamo l’indifferenza di tanti, il disinteresse o addirittura una palese contrarietà; dicevo appunto che possiamo subire il fascino di una tentazione insidiosissima: quella cioè di ritenere meglio dedicarsi a curare quelli che vengono, limitandosi ad alimentare quei pochi che sono interessati, senza fare altro che aspettare che la gente arrivi, che si muova e ci venga a cercare. “Curiamo bene questi pochi” – a volte si sente dire – “perché con gli altri è tempo perso”. “Si consumano energie” – ancora si sente dire – “sprecandole senza alcun risultato. Tanto vale lasciar perdere e concentrarsi sui pochi che manifestano attenzione e formare con loro vere comunità ferventi e convinte”.
Ho parlato di tentazione ed è veramente così: si tratta infatti di una tentazione suadente e subdola che ci vuol far desistere da quella che è invece la nostra missione: quella cioè del seminatore evangelico che sparge la semente con abbondanza dovunque – senza alcun criterio, potremmo dire – perché il seme non cade solo sul terreno buono, ma anche sulla strada, in mezzo ai sassi e ai pruni. Parabola che innanzitutto ci parla di Dio, divino agricoltore, che fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi. E Gesù? Si è forse limitato a parlare ed incontrare gli apostoli e i discepoli, nei tre anni della sua vita pubblica?
Ecco, carissimi fratelli e sorelle, il messaggio bello ed esigente che la Messa degli oli santi ci trasmette: siamo stati chiamati a ungere con olio di letizia tutte le persone del mondo; siamo chiamati a portare I’olio santo della predicazione apostolica, della carità cristiana e della grazia dei sacramenti a tutti gli uomini e le donne del mondo e, concretamente, a chi vive nei nostri territori. Siano essi indifferenti, distratti, lontani, mussulmani e non cristiani in genere, atei, ostili. In particolare, e prima di tutto a coloro che soffrono, sono soli o emarginati, perché il Vangelo è prima di tutto destinato a loro.
Come dicevo, gli oli santi ci indicano anche le priorità della missione: I’olio dei catecumeni ci invita ad annunciare il Cristo morto e risorto ai non credenti, a chi non appartiene alla chiesa o a chi è appena nato, chiunque esso sia; il sacro Crisma che si usa nel Battesimo ci spinge ugual- mente a cercare chi è lontano dalla fede o ancora non la conosce; nello stesso tempo ci invita ad accompagnare con amore tutti i nostri ragazzi che crescono perché siano forti nell’affrontare il mondo e capaci di testimonianza e spinge inoltre a vivere come missionari del vangelo chi riceve l’Ordine sacro del presbiterato e dell’Episcopato; I’olio degli infermi ci muove ad essere accanto con amorevolezza a tutte le persone che soffrono, che sentono il morso feroce della malattia e il peso inevitabile della vecchiaia, accanto quella popolazione anziana che oggi è così numerosa e riempie le case di riposo o vive in una tremenda solitudine a casa propria.
Allora carissimi confratelli ma anche voi, carissimi laici: bando alla stanchezza! Muoviamoci, come fecero gli apostoli del Signore, che si sparsero in tutto il mondo per por- tare a tutti la parola del Signore e fondare dovunque comunità di suoi discepoli. Diamoci da fare! Non restiamo a guardare! Impegniamoci! Assumiamo la missione come compito primario nostro personale e delle nostre parrocchie; una missione che, come ci insegna il Santo Padre, deve essere condotta nello stile della prossimità non certo in quello della crociata, anche se dobbiamo sempre cercare di rendere ragione della speranza che è in noi con argomentazioni anche culturali.
Promoviamo dunque la missione; non accontentiamoci dei pochi che vengono in chiesa; pensiamo sempre alla massa di quelli che non ci sono e sentiamo l’ansia apostolica di farci tutto a tutti, di raggiungerli. Perché la carità di Cristo ci spinge alla missione. Incontriamo, parliamo, relazioniamoci con chiunque; affrontiamo senza paura con il dialogo della mitezza coraggiosa ogni uomo e donna anche i più ostili; frequentiamo le strade dove vivono i giovani e gli uomini e le donne del nostro tempo. Troveremo. Credo, inaspettate disponibilità, come ci insegna la parabola degli operai dell’ultima ora.
Non dimentichiamo mai però di attingere nella preghiera quotidiana, nell’adorazione del mistero dell’amore e in quell’unzione santa dello Spirito che abbiamo ricevuto, la forza della testimonianza. La debolezza della missione, la scarsa carità e attenzione agli altri, la fiacchezza timidezza dell’annuncio cristiano non dimentichiamo che nascono senza alcun dubbio primariamente dalla nostra poca fede. Una fede genuina, autentica, vivace e animata da una carità sincera, trova sempre il modo di comunicare riesce sempre a raggiungere il cuore degli altri, trovando forme e modalità per trasmettere efficacemente la novità di Gesù morto e risorto.
Lasciamoci dunque ungere questa sera dal sacro olio della grazia di Cristo, rinnoviamo con gioia la nostra fede e facciamoci gioiosi e instancabili latori dell’olio della letizia a tutte le persone che vivono tra noi e con noi.