Si possono fare tutte le leggi del mondo, ma togliersi la vita ed aiutare qualcuno a togliersela non sarà mai una cosa buona. E’ molto chiaro e va detto. Quando poi si arriva a considerarlo una cosa buona, vuol dire che qualcosa dentro di noi si è spezzato e si è messo sottosopra. Se capita a chi soffre, massimo rispetto sapendo che tutto è nelle mani dell’infinita misericordia di Dio. Ma se invece diventa una lucida teoria, una ideologia, è solo accecamento della ragione.
Con questo non voglio dire che bisogna soffrire, che non si debba lottare contro il dolore o che non si debba cercare la via di una morte dignitosa, “umana”. Tutt’altro. Quello che intendo dire è che l’atteggiamento giusto verso chi vuole togliersi la vita è appunto quello di cercare di eliminare tutte le cause che portano a questa decisione. Se una persona si vuol togliere la vita, l’atteggiamento più umano nei suoi confronti non è quello di aiutarlo a togliersela. Quando uno vuole togliersi la vita, l’atteggiamento che dobbiamo avere nei suoi confronti non è quello di assecondarlo, ma è quello di cercare di capire perché, di risolvere i problemi alla base di quella scelta. Sentiamo che la scelta di togliersi la vita contraddice la sete di vita che abbiamo e nasce da frustrazioni, da situazioni difficili, da sofferenza insopportabile, dalla sensazione che la propria vita non meriti più di essere vissuta; esso nasce da un peso del vivere divenuto insopportabile. Ed è qui, sulle cause, che occorre lavorare tutti insieme. Se troviamo per la strada uno che si vuole buttare giù da un ponte, che facciamo? Gli facciamo un trampolino perché si butti giù meglio o cerchiamo di fargli tornare l’amore alla vita? Questo vuol dire impegnarsi perché si possano superare le cause che hanno portato a considerare la morte un sollievo. Vuol dire vicinanza, attenzione, premura, accompagnamento e, di fronte alla malattia che non perdona, cure palliative adeguate da incentivare, sviluppare e rendere sempre più accessibili.
Si dice che ci vuole una legge. Siamo d’accordo. Ma l’atteggiamento di fondo che deve ispirare non può essere il cosiddetto “diritto alla morte” che non è affatto un diritto perché non esiste un tale diritto. La volontà condivisa che deve ispirare la legge è di aiutare in tutti i modi chi sente il peso della vita a ritrovarne invece la bellezza a riacquistare la gioia di vivere o per lo meno la sopportabilità della vita. Per legiferare nel migliore dei modi in una materia così delicata e personale, non si deve essere preda di ideologie, non si devono impostare le cose sulla base di schieramenti politici; si deve molto ragionare e molto ascoltarsi; non ci vuole emotività ma razionalità e occorre una legge la più condivisa possibile.
Dal canto nostro, come Chiesa non arretreremo a fronte delle richieste di amore e di cura che provengono dalle famiglie e dalle comunità, che chiedono semmai più risorse e più sostegno per l’accompagnamento delle persone malate o fragili, per tutelarne realmente la dignità, fino alla fine».
+ Fausto Tardelli, vescovo