Papa Francesco chiude la Settimana sociale dei cattolici a Trieste. Il discorso al centro congressi e poi la Messa in piazza Unità d’Italia accolto dalla folla che lo ha salutato con gioia e affetto. Dalla diocesi di Pescia presenti 3 delegati dell’Ufficio pastorale sociale e del lavoro.
Si è conclusa domenica 7 luglio la 50 edizione delle settimane sociali dei cattolici italiani con l’arrivo a Trieste di Papa Francesco per l’atteso discorso di conclusione dei lavori inaugurati dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 3 luglio al Centro Congressi. Francesco arriva in perfetto orario, poco dopo le otto e dopo un volo di due ore in elicottero da Roma. Accolto e salutato dalle autorità civili e dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, oltre che dal segretario generale, Giuseppe Baturi, e dal presidente delle Settimane sociali, Luigi Renna, e dal vescovo di Trieste, Enrico Treviso. La folla dei moltissimi delegati provenienti dalle diocesi di tutta Italia era in piedi ad applaudire e a urlare di gioia. Il Pontefice è stato accompagnato in sedia a rotelle fin dietro le quinte, poi si è alzato in piedi e, appoggiandosi a un bastone, ha raggiunto la postazione per gli interventi. Non tarda ad entrare in argomento il Papa. E per prima cosa stila la diagnosi della democrazia soffermandosi sulla parola cuore accostata al termine democrazia e citando il beato Giuseppe Toniolo sottolinea il bene comune.
«È evidente che nel mondo di oggi la democrazia non gode di buona salute. Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo».
Un appello ad una assunzione di responsabilità per “costruire qualcosa di buono nel nostro tempo”, dando “attenzione alla gente che resta fuori o ai margini dei processi”. Solo appassionandoci al bene comune può rinascere la partecipazione che cura le ferite della democrazia.
“La crisi della democrazia è come un cuore ferito – sottolinea il papa -. Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la corruzione e l’illegalità mostrano un cuore “infartuato”, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di servizio alle persone”.
Ricordando le parole di Aldo Moro per cui lo Stato è democratico se a servizio dell’uomo, Francesco sottolinea come la partecipazione è il perno della democrazia ed essa è tale se ci sono le condizioni per poter partecipare.
La partecipazione non si improvvisa, sottolinea il Papa, ma si impara da giovani e va sempre “allenata”, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche.
«Nel frattempo a me preoccupa – afferma Francesco – il numero ridotto della gente che è andata a votare. Cosa significa quello? Non è il voto del popolo solamente ma esige che si creino le condizioni perchè tutti si possano esprimere e possano partecipare».
In conclusione il Papa invita i cattolici italiani, sull’esempio di Giorgio La Pira a far crescere progetti di buona politica che alimentino la speranza in tutti i cittadini promuovendo iniziative di formazione politica e sociale rivolta ai più giovani creando luoghi di confronto e dialogo per promuovere la collaborazione verso il bene comune.
“Se il processo sinodale ci ha allenati al discernimento comunitario, l’orizzonte del Giubileo ci veda attivi, pellegrini di speranza, per l’Italia di domani. Da discepoli del Risorto, non smettiamo mai di alimentare la fiducia, certi che il tempo è superiore allo spazio e che avviare processi è più saggio di occupare spazi. Questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro, Vi auguro di essere artigiani di democrazia e testimoni contagiosi di partecipazione”.
Al termine del suo discorso Papa Francesco si è trasferito in piazza dell’Unità d’Italia per la celebrazione dell’Eucarestia alla presenza di circa 8500 fedeli.
Come già reso noto la nostra diocesi di Pescia ha partecipato ai lavori della settimana sociale di Trieste con tre delegati: Padre Lorenzo Frattini, assistente spirituale dell’Ufficio pastorale sociale e del lavoro, Rosa Anastasio del Progetto Policoro e Stefano Natali, direttore dell’Ufficio di pastorale sociale e del Lavoro il quale al rientro da Trieste ha commentato così l’esperienza: «La presenza di Sergio Mattarella, la presenza di Matteo Maria Zuppi, presidente della conferenza episcopale italiana, dall’inizio alla fine del convegno, e l’arrivo di Papa Francesco stanno a significare quanto la democrazia e la partecipazione politica sia un tema molto urgente per tutti noi e per tutto il nostro paese. Confido che questa settimana intensa e molto partecipata avvii un processo nel quale tutta la comunità italiana, nonché quella europea, sviluppino un percorso per rendere attrattiva la partecipazione politica e che la partecipazione non sia una delega ma un processo dove essa diventa la linfa per la democrazia».
Padre Lorenzo Frattini, assistente ecclesiastico PSL ci ha inviato la sua riflessione in merito: a Trieste si è “scoperto” che non vi sono le esigenze di un potere che vuole essere sempre più solo e decisivo al comando e neppure uno spezzettamento del corpo sociale che frantuma la Nazione per ambizioni in cui l’egoismo è il criterio della scelta. A Trieste la Chiesa italiana ha posto il valore e il lavoro della partecipazione. E’ stata una Settimana Sociale dei Cattolici in Italia (e si noti la finezza sostanziale del cambiamento: da “Cattolici italiani” a “Cattolici in Italia” ampliando così la platea degli attori a tutti coloro che sono nati altrove e sono venuti in Italia per mille strade… ) molto intensa, a tratti faticosa, perché il Comitato scientifico organizzatore ha fatto un lavoro certamente superlativo e lo ha richiesto a noi delegati. Il nostro Sebastiano Nerozzi, Segretario del Comitato, ha fatto un lavoro veramente eccellente e a lui va tutto il nostro ringraziamento. La partecipazione come metodo e valore; la partecipazione come responsabilità e impegno. Il metodo del cammino sinodale era la filigrana nel lavoro: esigente e molto produttivo insieme. Il lavoro dovrebbe continuare in Diocesi: il condizionale è d’obbligo perché il progetto politico – e come è evidente la politica è qui intesa come nobile passione per il bene comune e non certo come aggiustamento partitico – che ne emerge richiede coraggio e fermezza. Richiede di saper superare il passato e aprire nuovi processi di crescita. Anche nella nostra Chiesa, anche nella Pastorale Sociale e del Lavoro che dovrebbe essere il luogo di Chiesa in cui ci si forma e nel quale si vivono queste tensioni (e anche questi conflitti) e si cerca il bene di tutti sapendo che il bene, in qualsiasi forma si possa intendere, ha una solo origine: Dio il bene primo e ultimo, l’amore che ci salva.