La benedizione dei ramoscelli di ulivo rappresenta il nostro desiderio di rivere nella vita concreta l’esperienza di abbandono fiducioso nelle mani di Dio. La salvezza di duemila anni fa è possibile ancora oggi!
«Imitiamo, fratelli e sorelle, le folle che acclamavano Gesù̀, e procediamo in pace». Con questa frase, dopo la benedizione dei rami d’ulivo, veniamo invitati a spostarci in processione verso la chiesa per proseguire la celebrazione eucaristica della “Domenica delle Palme”, o meglio “della passione del Signore”.
In questa frase della liturgia sta il senso di quel momento e della benedizione dell’ulivo, rito ancora molto sentito da tanti credenti.
Chi vive attivamente la pastorale sa quanto sia importante che questo gesto venga capito nel suo significato più profondo. Ricordo ancora, nell’anno della pandemia, il dispiacere di tanti perché non potevamo benedire il rametto d’ulivo che – secondo una persona che si lamentava – proteggeva durante i temporali; parole simili si sentono anche nel momento della benedizione pasquale delle case e delle famiglie: «Padre, benedica bene perché ce ne sono successe di tutti i colori!».
La fine della società cristiana conserva questi riti che, in passato, non avevano bisogno di troppe spiegazioni perché il contesto generale di cristianità aiutava a vivere (forse) l’elemento più importante a cui devono rimandare: la nostra adesione a Cristo, morto e risorto (come nella formula di benedizione con l’acqua benedetta: «ravviva in noi, Signore, la nostra adesione a Cristo morto e risorto…»).
Sì, è questo lo scopo di quello che viviamo nella comunità cristiana: legare sempre di più la nostra vita alla vicenda Pasquale, una vita che è già inserita in Lui dal giorno del battesimo.
Ancora nella liturgia delle Palme sentiamo: «Seguiamo perciò̀ il Signore, facendo memoria del suo ingresso salvifico con fede e devozione, affinché́, resi partecipi per grazia del mistero della croce, possiamo aver parte alla risurrezione e alla vita eterna … Dio onnipotente ed eterno, benedici questi rami di ulivo, e concedi a noi tuoi fedeli, che seguiamo esultanti Cristo, nostro Re e Signore, di giungere con lui alla Gerusalemme del cielo. Egli vive e regna…»
Seguendo le parole di queste preghiere, capiamo che noi stessi diventiamo quella folla di Gerusalemme che agitava rami e palme con sentimenti di affetto, speranza, ammirazione per quel profeta galileo, anche se poco dopo la stessa folla lo avrebbe consegnato al posto di Barabba. In quel momento, però, hanno onorato quel messia che si presentava come re umile su un puledro, come Signore che andava alla morte per condividere il destino degli ultimi e, da lì, salvare tutti e inaugurare una umanità nuova.
Ed è per questo che, proprio nella domenica delle Palme, leggiamo il lungo racconto della passione: poniamo il cuore nella vicenda di Gesù che mediteremo lungo tutta la Settimana santa.
L’ulivo richiede il nostro impegno a seguire Gesù nella sua passione e morte: prima in senso liturgico, partecipando ai riti della Settimana Santa (Giovedì, Venerdì, Domenica), ma soprattutto in senso esistenziale: imparare a seguirlo negli snodi importanti della vita, e diventare noi stessi uomini e donne che vivono una passione redentrice, di amore, servizio e comunione.
Ecco il senso dell’ulivo benedetto, allora: è il segno della nostra fede che si vuole conformare a Gesù. È una fede sentita, nutrita con la preghiera e i sacramenti, per affrontare i passaggi difficili della vita e aprire il cuore alla comunione con tutti, soprattutto i poveri e i fragili, vicini e lontani, familiari ed estranei.
Senza provare a vivere questa esperienza globale di fede cristiana, quel rametto resta un’usanza che sconfina nel superstizioso o nel folkloristico.
L’ulivo benedetto non serve a tenere lontane disgrazie e malefici dalla casa, ma ci invita a nutrire continuamente la nostra fede in Colui che deve ispirare il modo di vivere la vita alla luce della sua Pasqua. Nella domenica che precede le Palme, la V di Quaresima, quest’anno abbiamo letto quel passaggio bellissimo della Lettera agli Ebrei (Eb 5,7-9): «Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono».
La benedizione dell’ulivo rappresenta il nostro desiderio di rivivere, nella nostra carne, nella vita concreta, questa esperienza di abbandono fiducioso nelle mani di Dio, a volte nelle lacrime e nelle grida; e noi contempliamo con amore come Gesù lo ha fatto rappresentando tutti noi; muoviamo le palme e i rami d’olivo perché siamo convinti che da Lui e dal suo passaggio pasquale viene la luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1,9). Buona settimana santa, a tutti e tutte.
Don Angelo B.