Continua il percorso verso la beatificazione: «sarà un percorso ancora lungo, ma il perdurare del ricordo, della stima e della convinzione che questa donna ha vissuto in maniera eroica la sua fede è una testimonianza ulteriore, necessaria per portare a compimento in maniera positiva questo processo, grazie a Dio». – afferma don Alberto Tampellini Vicario generale e delegato del Vescovo per la causa di Beatificazione.
Sono passati 30 anni dalla morte di Daniela Benedetti e nella chiesa di Sant’Antonio a Montecatini, dove si svolse il funerale nel 1994, mercoledì 28 febbraio è stata celebrata la messa dal vicario generale Don Alberto Tampellini, insieme al parroco Don Gianluca Diolaiuti, a don Luigi Cameli e a don Stefano Salucci. «Per una giornata così importante ho pensato a cosa dire in questa omelia e ho deciso di raccontarvi una storia» ha esordito don Alberto, iniziando a parlare dopo la lettura del Vangelo. La storia a cui si è riferito è quella che Daniela scrisse poco prima di tornare alla casa del Padre per suo figlio Daniele.
«Leggendo la storia mi si è aperta una prospettiva sul racconto biblico degli inizi – ha sottolineato don Alberto – dove, proprio come un buon padre, anche Dio racconta come si vive il bene e il male e come si vive tra noi. La cosa che più mi ha colpito di questa favoletta molto semplice è che i “cattivi” non sono brutti, non sono antipatici, ma, anzi, sono simpatici, agiscono come agiscono perché non pensano alle conseguenze delle loro azioni». Don Alberto ha messo in rilievo come questa semplice storiella ci mostri la figura di Daniela, mamma premurosa che insegna al suo bambino, così come Dio ci ha insegnato e avrebbe voluto insegnare ad ognuno di noi la conoscenza del bene e del male. Ed ha aggiunto: «Il peccato originale gira proprio intorno a questo: non sempre chi fa il male è cattivo, tante volte il male nasce dal non rendersi conto. Certe situazioni esistono perché non c’è stato un insegnamento. Gli occhi di Dio non guardano come prima cosa il bene e il male che facciamo, gli occhi di Dio ci guardano prima di tutto per quello che siamo – simpatici, vagabondi, briganti, birbanti – ma con occhio di simpatia e non ci distingue in buoni e cattivi o in brutti e belli, prima ci guarda per quello che siamo, poi ci insegna.»
Don Alberto ha voluto evidenziare un’altra cosa importante che viene fuori dal racconto di Daniela: il dolore inteso come strumento di conversione e di salvezza. «Ho trovato un grande insegnamento in questo piccolo racconto: come attraverso il dolore e l’ascolto si possa capire la propria posizione nella società, nel mondo, nei confronti degli altri. A me ha fatto tanto piacere capire queste cose attraverso la lettura di questa «favolina» perché in maniera semplice, spontanea, simpatica e dolce Daniela riesce a parlare e a lasciare un messaggio che forse a prima vista non lo si nota, ma, se ci si entra dentro, allora si può veramente comprendere: la profondità dell’animo di Daniela si è manifestato nella maniera più semplice attraverso l’insegnamento lasciato a un figlio.»
Al termine dell’omelia don Alberto ha spiegato il percorso futuro della causa di riconoscimento delle virtù eroiche di Daniela specificando che, in qualità di delegato del vescovo, guiderà gli interrogatori dei testimoni. Ha detto che Il lavoro è lento perché questo cammino è un impegno importante per la Chiesa e quindi ogni cosa va fatta con precisione e condotta in maniera certa e sicura, per poter consegnare alla congregazione dei santi un materiale ben messo insieme. «La commissione storica ha finito il suo lavoro, – ha concluso – mancano gli ultimi aggiustamenti e poi partiremo con gli esami dei testimoni. Sarà un percorso ancora lungo, ma il perdurare del ricordo, della stima e della convinzione che questa donna ha vissuto in maniera eroica la sua fede è una testimonianza ulteriore, necessaria per portare a compimento in maniera positiva, come credo, questo lungo processo, grazie a Dio».
Giovanni Sbolci